Le elezioni venezuelane dello scorso 15 aprile hanno sancito la vittoria “dimezzata” di Nicolas Maduro e riportato prepotentemente alla ribalta la figura di Henrique Capriles, sempre più capo indiscusso del partito d’opposizione PJ(1). L’incapacità dell’establishment al potere di tenere a debita distanza il rivale dopo la morte del leader Hugo Chavez, ha rimesso in discussione tutto il percorso del sistema politico bolivariano. Dopo circa quindici anni dalla sua sistematizzazione ideologica, il bolivarismo vede già i primi segni della dissoluzione nel paese “pivot”, mentre in quelli satellite resta saldo ma in continuo divenire e comunque legato ad altrettante figure carismatiche che ne hanno fatto un valore fondativo della proprie politiche. La via al socialismo del XXI secolo dunque, è legata indissolubilmente al suo paese fondatore o potrà essere sviluppata in modo autonomo dagli altri stati latinoamericani che l’hanno abbracciata? In Venezuela il crepuscolo del bolivarismo può essere rischiarato solo dopo un’analisi accurata che abbia come oggetto sia l’attuale e futura leadership, che la nuova distribuzione geografica dei voti (importante per capirne l’evoluzione economica del paese).
Maduro: una scelta di convenienza?
A dicembre, prima dell’operazione a L’Avana, Hugo Chavez designò come suo erede quello che allora era il ministro degli esteri, Nicolas Maduro. Una scelta interpretabile sia come di pura convenienza politica sia come approccio ortodosso. La convenienza nasce dal fatto che Maduro è il più filo cubano del partito ed era deputato a tenere – dopo Chavez – le relazioni con i fratelli Castro. L’approccio ortodosso si basa sul fatto che Maduro è stato un bolivariano fin dalle prime battute,ossia al fianco di Chavez fin dall’arresto a seguito del fallito colpo di stato del 1992. Ad oggi la scelta può intendersi anche – e soprattutto – come di opportunità rispetto allo sfidante Capriles. Prima delle presidenziali Maduro era l’unico del vertice del PSUV(2) a non essersi scontrato direttamente con il leader dell’opposizione e a non venirne sconfitto. L’alto profilo istituzionale di Diosdado Cabello (attuale presidente dell’Assemblea nazionale) prima e di Elias Jaua (ora ministro degli esteri) dopo, non hanno impedito a Capriles di prevalere nelle elezioni regionali del 2008 e del 2012 per la carica di governatore nello stato di Miranda. Chavez – sempre attento alla comunicazione politica – ha di conseguenza deciso a livello nazionale di non opporre a Capriles un avversario “perdente”. Scelta che si è rivelata lungimirante anche se per poco. Maduro – nonostante il trasporto emotivo per la morte di Chavez e poco più di una settimana di campagna elettorale lasciata agli sfidanti – ha ottenuto solo 254 mila voti idi vantaggio (l’1,73% dei votanti) azzerando di fatto il milione e 600 mila voti lasciati in eredità da Chavez sei mesi prima, nelle elezioni presidenziali del novembre 2012. Ma a legger più approfonditamente i dati delle elezioni presidenziali degli ultimi 15 anni si può vedere che con l’affermarsi del bolivarismo a livello internazionale (mediatico) e regionale (organizzazione Alba), l’opposizione interna ha progressivamente ripreso vigore. Dal 2000 l’opposizione (2 milioni e 359 mila voti) ha guadagnato fino al 2012 (6 milioni e 591 mila voti circa) il 300% degli elettori crescendo maggiormente in proporzione rispetto al partito di Chavez che invece li ha solo raddoppiati(3). Il bolivarismo dunque non è mai divenuta ideologia di stato poiché non ha mai strappato un consenso plebiscitario alle elezioni. La più grande vittoria di Chavez è stata infatti quella del 2006 in cui ottenne il 62,85% dei voti contro l’allora sfidante Manuel Rosales che si attestò su un mediocre 36,91%. Tuttavia c’è da segnalare che degli oltre 15 milioni di votanti solo poco più di 7 milioni aveva espresso il suo favore nel bolivarismo: l’alta astensione (25,31%) relegava il socialismo di Chavez a verbo per meno della metà della popolazione. Distorsioni dei numeri – simili ai paesi con regimi democratici maturi – che impedivano sul nascere al bolivarismo di diffondersi e strutturarsi lungamente nel paese nonostante la propagazione ideologica nei paesi limitrofi che ne è seguita.
Geografia economica del paese
Il risultato attuale dell’opposizione non si manifesta solo nell’assottigliamento della distanza di elettori rispetto al 2000, ma dal numero delle regioni nella quale Capriles ha vinto, ossia ben 7: Zulia, Lara, Merida, Tachira, Miranda, Anzoategui e Bolivar. A livello geografico il Movimento Primero Justicia cinge le 13 regioni restanti di Maduro a est e nel centro ovest. Tuttavia l’opposizione ha semplicemente consolidato il proprio consenso in quelle zone del paese là dove esisteva già ancor prima dell’avvento di Chavez. Nel 1998, l’allora sfidante Henrique Salas, conquistò diverse regioni di confine ad est(4) e perfino nel periodo del bolivarismo rampante l’allora opposizione seppe mantenere (fino al 2005) l’enclave elettorale di Zulia.
Oltre alla regione più a sud confinante con il Brasile, Capriles ha praticamente conquistato tutti gli stati federati confinati con le più strutturare vie di comunicazione con la Colombia e quindi snodo fondamentale per le esportazioni in Centro e Sud America. Le regioni dove ha prevalso Capriles però hanno altri punti in comune, specialmente di carattere demografico ed economico. Il numero degli abitanti e la densità della popolazione è tra le più alte: si spiega così il numero quasi identico degli elettori nonostante Maduro abbia conquistato il doppio delle regioni. Si tratta inoltre di stati mediamente piccoli e affollati nei quali l’economia non è solo agricola: seppur queste 9 regioni abbiano la gran parte del proprio territorio adibito a coltivazione (soprattutto canna da zucchero) e allevamento, si evidenzia un rapido sviluppo industriale e dei servizi con punte di eccellenza. Zulia ospita il secondo complesso petrolchimico del paese; Merida è la terza regione per la zootecnia; Tachira con la capitale San Cristobal è il maggiore snodo andino; Miranda è la seconda regione più importante per capacità industriali soprattutto nel settore manifatturiero e rappresenta la spina dorsale del Venezuela insieme al distretto federale di Caracas. La condizione di rapida ascesa economica di queste regioni, traina una proporzionalmente la crescita delle aspettative di una classe media urbanizzata che fatica a trovare spazio e rappresentanza politica.
Bolivarismo e posizione mediana del Venezuela
Il modello economico che Capriles vorrebbe importare in Venezuela appartiene a quello più riformistico-liberale dell’America Latina che vede come suoi esempi più importanti il Brasile, il Cile, la Colombia, il Perù e il Messico. Questi paesi hanno affrontato la crisi economica con una crescita cauta volta soprattutto a rafforzare la stabilizzazione dei prezzi, ridurre il debito pubblico e la conclusione di programmi di stimolo: tutto l’opposto del modello centralista e dirigista di Chavez (e anche dell’Argentina). Il PSUV ha spinto per una crescita guidata dall’alto con politiche espansive fiscali e monetarie impedendo un equilibrio dei prezzi dei beni ottenendo una inflazione attestatasi al 27%. La crescita forzosa è stata possibile grazie alle rendite petrolifere e si dimostrava necessaria per Chavez al fine di rinsaldare il proprio elettorato. Ad oggi però l’alta inflazione non è mitigata da nessuna misura economica efficace vista l’incapacità del Venezuela di affrancarsi dalla dipendenza dal mercato petrolifero. Le differenze tra questi blocchi di paesi (riformisti e dirigisti) porta alla divisione in campo di politiche macroeconomiche divise per area e in seno ad organismi economici regionali dai confini porosi. Ad oggi l’Alleanza Bolivariana per le Americhe è geograficamente la più dispersa e quella più in difficoltà: il capolavoro diplomatico di Chavez in funzione anticapitalista è di fatto acefalo viste le difficoltà interne di Maduro; lo stesso Morales in Bolivia è in caduta di consensi per una politica del lavoro che provoca scioperi consistenti dei minatori. Escludendo la capacità trainante di Cuba e degli stati caraibici, l’unico leader forte che possa prendere le veci di Chavez è il presidente ecuadoriano Rafael Correa. In questo momento però l’Ecuador è impegnato nella ricerca di una integrazione economica regionale più realistica e produttiva e geograficamente più compatta rispetto all’Alba. Già membro associato del Mercosur, il più piccolo stato che affaccia sul Pacifico, ha deciso di entrare come osservatore proprio nell’Alleanza del Pacifico (AP) che annovera Cile, Colombia, Messico, Perù e Costa Rica. L’AP è contrapposta ideologicamente all’Alba e si pone in parallelo al Mercosur al quale vorrebbe portare via sia il Paraguay che l’Uruguay (oggi osservatori esterni). L’Alba – e dunque il Venezuela – sta per essere schiacciata tra i due organismi nel quale non ha voce autorevole in capitolo ed inoltre, i giganti della regione, Brasile e Messico, stanno affrontando una partita economica egemonica nella quale il Venezuela non è protagonista. A Caracas resta solo l’importante influenza esercitata sui paesi caraibici finanziati da Petrocaribe, ma la capacità di assistenza energetica toglie introiti aggiuntivi necessari oggi all’economia interna. Il bolivarismo è certamente nato con Chavez, ma potrebbe essere destinato alla dissoluzione anche per motivi esterni alla morte del caudillo. A pesare in maniera determinante sono solo Brasile e Messico e le loro emanazioni regionali non permettono spazio nel futuro ad un’integrazione su principi socialisti. Qualora in Venezuela il potere tornasse nelle mani di un centro-destra liberista, verrebbe di certo a perdersi il ruolo del paese come “stato alternativo” alle politiche riformiste e capitaliste ora presenti sul continente e verrebbe reintegrato nella sfera di influenza nordamericana. In tal modo si accelererebbe la dissoluzione dell’Alba – di fatto già in via di disfacimento – con conseguenze nefaste soprattutto per un paese che non può riposizionarsi: Cuba. Ad oggi l’unica garanzia per i fratelli Castro nel dirigere lentamente le riforme verso una timida apertura, è data dai fondamentali aiuti venezuelani che riducono l’ esposizione economica di L’Avana. Il Venezuela, come architrave socialista in America Latina, è in una parabola vertiginosamente discendente dalla quale non può altro che risorgere per evitare il declino del sogno bolivariano.
* Salvatore Rizzi, dottore in Scienze della Politica
(1) Movimento Primero Justicia
(2) Partido Socialista Unido de Venezuela
(3) Il trend dei dati elettorali degli ultimi 15 anni è da leggere tenendo conto dell’alto numero di astenuti che non ha partecipato alle elezioni presidenziali del 1998, quelle della prima vittoria di Chavez. Nell’occasione per il 48% degli aventi diritto al voto non l’ha esercitato: un dato notevole che poi si è assestato in media intorno al 20%. Il bacino di voti riacquistati dalla differenza di astenuti ha permesso le crescite elettorali sia dell’opposizione che di Chavez.
(4) http://www.eluniversal.com/nacional-y-politica/mapa-de-resultados-electorales/ . Sul sito del quotidiano sono visibili tutti i dati elettorali riportati nel pezzo e la cartografia della distribuzione del potere