Le isole Senkaku (o Diaoyutai secondo i Cinesi), sono un arcipelago di cinque isole situate nel Mar Cinese orientale, all’interno di un’area pari a 7 km²; oggetto di una disputa territoriale che contrappone il Giappone, la Repubblica Popolare Cinese e Taiwan, esse si trovano attualmente sotto la giurisdizione giapponese.
La controversia ha acquisito maggiore importanza sulla scena internazionale con la fine della guerra fredda, ma le origini del conflitto risalgono al XIX secolo. Per comprendere a fondo la questione è quindi necessario indagarla innanzitutto dal punto di vista storico, analizzando le differenti tesi presentate dagli antagonisti. Secondo la versione di Tokyo, il Giappone ha acquisito la sovranità delle isole nel 1895, in seguito alla vittoria nel primo conflitto sino-giapponese, in osservanza delle norme del diritto internazionale che riguardano l’occupazione di terre disabitate. I rilievi effettuati avevano infatti confermato che le isole erano disabitate e che non erano mai state sotto l’autorità cinese. Nel 1945, in seguito alla sconfitta giapponese nella seconda guerra mondiale, le isole furono poste sotto l’amministrazione degli Stati Uniti, pur rimanendo formalmente soggette alla sovranità giapponese.
La controversia si riaccese con maggior vigore nel 1969, quando la Commissione economica e sociale per l’Asia e il Pacifico delle Nazioni Unite identificò potenziali riserve di petrolio e gas in prossimità delle isole. Nel ’72, in osservanza del Trattato di pace di San Francisco del ’51[1], le isole tornarono sotto il controllo dell’amministrazione giapponese. Ma la Repubblica Popolare Cinese e la Repubblica di Taiwan non riconobbero la sovranità giapponese sulle isole, non essendo firmatarie del trattato di pace e non riconoscendone quindi la validità.
Taiwan protestò ufficialmente contro gli Stati Uniti per l’assegnazione delle Senkaku al Giappone e gli Stati Uniti si mantennero formalmente neutrali, affermando che non vi erano state pronunce sul diritto di sovranità, ma che era solo stato restituito a Tokyo il diritto di amministrazione.
La sovranità sulle isole garantirebbe il diritto esclusivo di sfruttamento delle riserve di gas e olio minerale, nonché il controllo sulle rotte nautiche della zona. È chiaro che la controversia presenta un aspetto economico rilevante, poiché secondo le stime più recenti al largo del Mar Cinese Orientale si troverebbero ingenti riserve di petrolio,stimate pari a 100-200 miliardi di barili, che assicurerebbero risorse energetiche ad entrambi i paesi almeno per i prossimi 50 anni[2].
Nel settembre dello scorso anno, l’ex Primo ministro giapponese Yoshihiko Noda ha nazionalizzato tre delle cinque isole dell’arcipelago, riaccendendo la crisi diplomatica. La Cina ha denunciato il carattere anticinese di tale mossa, che mira a rafforzare il controllo dell’arcipelago da parte di Tokyo. Il governo giapponese sostiene invece che l’atto di acquisizione territoriale rientra in un normale trasferimento di proprietà da un privato allo Stato ed è conforme quindi alle leggi del paese.
Col crescere delle tensioni, nello scorso dicembre velivoli giapponesi e cinesi hanno sorvolato contemporaneamente gli spazi aerei sovrastanti le isole. La situazione ha messo in allarme il governo statunitense, che ha assunto il ruolo di intermediario. Gli Stati Uniti tuttavia non possono esercitare un semplice ruolo di mediazione, essendo vincolati al Giappone da un Trattato di sicurezza sottoscritto nel ’60. L’articolo 5 del trattato prevede infatti l’intervento militare statunitense nel caso in cui Tokyo subisca un attacco armato.
È chiaro che gli Stati Uniti guardano con particolare attenzione alla situazione del Pacifico, ipotizzando il loro ingresso in un eventuale conflitto armato, nonostante abbiano sempre affermato di non volersi pronunciare sul diritto di sovranità e di non voler entrare nel merito della controversia.
Lo scorso 30 gennaio, stando a fonti militari giapponesi, una nave militare cinese avrebbe navigato per 14 ore nelle acque che circondano l’arcipelago. Il Giappone ha parlato di un’intrusione “assolutamente inaccettabile” e ha prontamente convocato l’ambasciatore cinese.
La disputa assume quindi una rilevanza fondamentale sul piano della sicurezza, potendo influire sugli equilibri geopolitici della regione nel caso di un coinvolgimento diretto degli Stati Uniti.
Attualmente gli effetti più negativi si stanno registrando dal punto di vista economico. Diverse aziende giapponesi operanti in Cina hanno deciso infatti di sospendere la produzione dopo le proteste esplose nel paese e dopo i ripetuti inviti al boicottaggio contro i prodotti provenienti dal Giappone.
In seguito agli episodi degli ultimi mesi la rottura diplomatica sembra essere sempre più vicina e il ruolo degli Stati Uniti appare più determinante.
Lo scorso 22 febbraio il presidente degli Stati Uniti si è incontrato con il Primo ministro giapponese Shinzo Abe, allo scopo di rafforzare l’alleanza con gli Stati Uniti sia dal punto di vista economico sia della sicurezza. Lo stesso Abe, in un’intervista rilasciata al “Washington Post” prima della partenza, ha affermato che l’incontro bilaterale con gli Stati Uniti è di fondamentale importanza per il futuro equilibrio in Asia. Durante l’incontro il primo ministro giapponese, Abe ha riaffermato di non essere disposto a tollerare attacchi da parte cinese sull’arcipelago delle Senkaku, e che qualsiasi attacco provocherebbe inevitabilmente l’alleanza difensiva del Giappone con gli Stati Uniti, evocando in tal modo un conflitto dalle proporzioni inimmaginabili.
Nonostante i toni diplomatici, Abe ha sostenuto la sovranità giapponese sul territorio ed ha presentato l’alleanza tra Giappone e Stati Uniti come un fattore di stabilità per l’intera regione. Anche il presidente Obama si è ancora una volta dichiarato “neutrale” circa la disputa territoriale nella regione, ma ha sostenuto la sovranità giapponese sulle isole.
In ogni caso, la controversia evidenzia la sempre maggior fermezza con cui la Cina difende le proprie rivendicazioni territoriali nel Mar Cinese Orientale.
[1] Trattato sottoscritto a San Francisco l’8 Settembre 1951 da 49 Paesi firmatari della pace con il Giappone. Con questo trattato inizia formalmente il protettorato degli Stati Uniti sul Giappone e viene sancita la fine della Seconda Guerra Mondiale in Asia.
[2] http://www.policymic.com/articles/11175/senkaku-islands-dispute-pushes-japan-and-china-closer-to-war-and-america-may-get-sucked-in
http://www.globalsecurity.org/military/world/war/senkaku.htm