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LA SCACCHIERA DEL GRANDE GIOCO. LE CONTINUITÀ GEOPOLITICHE CHE CARATTERIZZANO L’ASIA CENTRALE

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La scomparsa dell’URSS nel 1991 ha costituito uno dei più importanti mutamenti geopolitici dell’ultimo secolo a livello mondiale. L’implosione dell’Unione Sovietica e il consecutivo ritirarsi del mantello del suo “impero” hanno scoperto una serie di aree geografiche che sono tornate a rivestire l’importanza strategica che già detenevano prima di cadere definitivamente sotto il controllo di Pietrogrado e di Mosca.

In bilico tra instabilità, dipendenza dalla Federazione Russa e ricerca di interlocutori strategici extraregionali, i Paesi nati in queste aree sono oggi teatro del confronto tra l’unica superpotenza mondiale e le emergenti potenze regionali che, nel promuovere un’evoluzione in senso multipolare del contesto internazionale, contendono agli Stati Uniti l’egemonia in Eurasia.

L’Asia Centrale è di certo la regione più estesa tra quelle interessate da questo fenomeno e, insieme alla Regione Caucasica, quella in cui è più evidente. L’intera area è oggetto della competizione tra Federazione Russa, Stati Uniti, Cina ed Unione Europea, competizione nella quale i governi locali assumono un ruolo progressivamente più attivo per mezzo di politiche multivettoriali. Questo contesto è spesso stato messo in relazione con il confronto, noto come Grande Gioco, che oppose, durante tutto il XIX secolo, l’Impero Russo all’Impero Britannico nel tentativo di espandere la propria influenza sull’area prima e a discapito del diretto concorrente.

L’importanza della regione è stata efficacemente sottolineata già all’inizio del XX secolo dal geografo inglese Halford Mackinder. Egli sosteneva che questa regione costituisse la chiave per il dominio del mondo intero. La tesi di Mackinder si basava sulla contrapposizione tra terra e mare, il controllo dell’Asia Centrale avrebbe garantito la supremazia alla potenza continentale (nell’Ottocento l’Impero Russo) contro la potenza navale (l’Impero Britannico in passato e oggi gli Stati Uniti). Mackinder potrebbe aver sovrastimato l’essenzialità dell’area, volendo con la sua teoria spingere il governo di Londra ad investire maggiormente sul potenziamento dell’esercito in vista di una possibile alleanza tra l’Impero Tedesco e quello Russo.

Nonostante questo, l’Asia Centrale ha caratteristiche geografiche dalla chiara e significativa connotazione strategica che, sebbene abbiano subito alcuni mutamenti a livello formale, mantengono tutta la loro sostanziale rilevanza. Queste caratteristiche permanenti sono la posizione, la morfologia e le risorse naturali.

L’Asia Centrale è incastonata nel cuore del continente eurasiatico e ciò ne fa, ieri come oggi, un ponte naturale tra le regioni politiche che lo compongono. Nell’Ottocento si trattava di una vasta terra di nessuno, sconosciuta e remota, sede di bellicose popolazioni e fragili strutture di governo; essa divideva i territori asiatici dell’Impero Russo, dall’India Britannica, dalla Persia e dall’Impero Cinese. Oggi, a seguito della caduta dei grandi imperi coloniali, del processo di decolonizzazione e di disgregazione del blocco sovietico, l’Asia Centrale si trova a costituire una cerniera fra la Federazione Russa, i Paesi del Medio Oriente, quelli del Subcontinente Indiano e la Cina.

L’elemento di centralità si lega profondamente con l’aspetto morfologico del territorio. La Steppa domina la quasi totalità dell’area tanto che ciò ha permesso a questa regione di essere da sempre attraversata sia da rotte commerciali che da direttrici d’attacco. Le ferrovie ed i condotti per il trasporto di petrolio e gas hanno sostituito le carovane della Via della Seta, così come l’assertività della politica estera russa, la politica di approvvigionamento energetico cinese e la presenza delle basi militari statunitensi, hanno sostituito l’espansionismo russo alla ricerca di sbocchi sui mari caldi, la proiezione dell’Impero Cinese ad Est e l’influenza britannica proveniente da Sud.

Le risorse naturali sono un terzo fattore permanente che conferma alcuni elementi di continuità tra il Grande Gioco e la situazione odierna dell’Asia Centrale. La regione è da sempre ricca di risorse naturali: piantagioni di cotone, miniere d’oro, argento, rame, zinco, piombo, minerali di ferro e carbone. Nella seconda metà del XIX secolo l’Impero Russo e quello Britannico erano determinati ad impossessarsene. Nel nuovo Grande Gioco, invece, sono gli idrocarburi a far gola ai “giocatori”. L’area nel suo complesso possiede risorse petrolifere stimate intorno ai 33,4 miliardi di barili1. Ancora più rilevanti sono i giacimenti di gas naturale, le cui riserve ammonterebbero a 28,1 trilioni di metri cubi2. Questi dati fanno però riferimento alle sole fonti accertate, resta da capire quanto sia rilevante il potenziale energetico della regione. Stime, peraltro spesso contraddittorie, descrivono un potenziale petrolifero pari a quello dell’Arabia Saudita e un ammontare pari al doppio del livello attuale per le riserve di gas.

Anche dal punto di vista dei fattori variabili, come popolazione ed istituzioni, possono essere evidenziati elementi di continuità. Una conseguenza diretta dell’essere da sempre al centro di flussi migratori è l’incredibile mescolanza di etnie, religioni e culture. Contraddistinta dal binomio contrastivo tra popolazioni sedentarie e nomadi, nel corso della storia la regione mantenne un assetto semitribale o feudale in cui i clan costituivano il principale fondamento sociale e politico. Anche oggi l’area presenta una notevole complessità nella distribuzione etnica, tanto da suggerire allo stratega statunitense Zbigniew Brzezinski una similitudine con la regione balcanica.

In passato la cronica fragilità della gran parte dei governi dell’Asia Centrale contribuiva ad aumentarne il rischio di instabilità. Tradizionalmente autoritari, i governi locali ebbero sempre difficoltà ad estendere il proprio potere sull’intero territorio e ad imporsi sulle dinamiche tribali e dei clan. Quando i primi esploratori russi e inglesi si avventurarono nella regione, i principali centri politici erano l’Emirato di Bukhara, il Khanato di Kokand e il Khanato di Khiva. Impossibilitati a comprenderne i meccanismi tribali così lontani dalle concezioni degli Stati moderni europei, gli strateghi dell’Impero Russo optarono per il progressivo smembramento di queste realtà e per una occupazione territoriale diretta.

Dal 1991 l’Asia Centrale è tornata ad essere formalmente libera dal controllo russo come lo era all’inizio del Grande Gioco, ma instabilità latente e autoritarismo sembrano essere elementi con cui i governi delle cinque repubbliche indipendenti devono ancora relazionarsi. Dotati di assetti costituzionali che garantiscono all’esecutivo vaste prerogative, i governi delle repubbliche dell’Asia Centrale faticano ad assicurare la cooperazione interetnica e un completo controllo del territorio3. Tuttavia di recente, alcuni governi locali, consapevoli di dover modernizzare l’impianto statale rendendolo appetibile agli investitori stranieri, stanno progressivamente adottando riforme in tal senso, secondo tempi e velocità tipici di ciascuno di essi. Il presidente kazako Nursultan Nazarbaev, ad esempio, si è fatto promotore di alcune importanti riforme tese a garantire maggiore trasparenza e a combattere la corruzione, ma non solo: lo stesso Turkmenistan sta lentamente risollevandosi dall’esasperato personalismo del regime di Saparmurat Nyyazow, da quando il presidente in carica Gurbanguly Berdimuhammedow, infatti, ha adottato un programma di ammodernamento del sistema scolastico, sanitario e pensionistico.

Le relazioni interregionali costituiscono un ulteriore fattore variabile che presenta alcune continuità con il passato. Nonostante non vi sia tra le repubbliche dell’Asia Centrale un antagonismo paragonabile a quello che dominava le relazioni tra le città di Bukhara, Kokand e Khiva, e molto più numerosi siano i settori in cui una collaborazione interregionale risulterebbe assai utile (dalle infrastrutture per la gestione idrica e delle risorse energetiche, alla cooperazione etnica e alla lotta contro il traffico di stupefacenti), alcune rivalità rallentano tutt’oggi un processo di integrazione regionale che potrebbe da un lato aiutare a stabilizzare l’area e dall’altro incrementare l’autorevolezza di ciascuno Stato nella competizione con gli attori extraregionali. Sebbene infatti, a partire dal 1991, i Paesi dell’Asia Centrale abbiano aderito alle organizzazioni istituite dalle repubbliche dell’ex Unione Sovietica (CSI, CSTO e EurAsEC) e siano stati tra i fondatori dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai, essi sembrano ancora restii a voler cedere porzioni importanti della propria sovranità nazionale. La neutralità positiva del Turkmenistan e le reticenze uzbeke4 hanno inoltre privato l’intera area del peso specifico che questi Paesi detengono. Il rischio è che queste organizzazioni si trasformino, quindi, in strumenti in mano alle principali potenze mondiali per contendersi l’influenza sulla regione e che si rivelino di fatto incapaci di raggiungere quegli importanti obiettivi di integrazione economica e politica che si pongono.

Dalla seconda metà del XIX secolo alla partita che si svolge oggi, la scacchiera dell’Asia Centrale è rimasta simile a quella che era: un crocevia di culture, commerci ed eserciti, un complesso mosaico etnico e una terra ricca di risorse naturali. Nonostante ciò sono intervenuti alcuni mutamenti. Alcune aree dell’Asia Centrale sono state caratterizzate da un processo di modernizzazione infrastrutturale che ha costituito il volano dello sviluppo economico. Già sotto l’Impero Russo fu costruita la prima rete di ferrovie della regione, le infrastrutture vennero poi incrementante nel periodo sovietico, soprattutto nel settore energetico. Oggi, in parte per sopperire all’architettura infrastrutturale sovietica, che seguiva logiche accentratrici, gli Stati della regione sono impegnati a dotarsi di nuovi impianti per l’estrazione ed il trasporto degli idrocarburi, nonché per la gestione idrica. Tali mutamenti in ambito infrastrutturale ed economico non devono essere considerati una cesura con il passato, al contrario essi costituiscono degli elementi che rafforzano la storica importanza geopolitica della regione, valorizzandone il centralismo ed il potenziale in risorse naturali.

Se quindi da un punto di vista del “campo da gioco” può essere semplice fare un paragone tra il Grande Gioco del passato e quello contemporaneo, resta da capire se esistano elementi tali da giustificare definitivamente tale raffronto anche al livello dei “giocatori” e dei “pezzi”. Al giorno d’oggi nuovi attori stanno intervenendo nella regione, in primis gli Stati Uniti e le organizzazioni internazionali, mentre “vecchi” attori, come la Federazione Russa e la Repubblica Popolare Cinese, hanno subito profondi mutamenti, così come sono cambiati gli obiettivi da essi perseguiti ed i mezzi per raggiungerli.

Infine anche il contesto internazionale nel quale la partita si svolge è profondamente cambiato. Il sistema multipolare europeo ha lasciato il passo, dopo una fase bipolare, ad un sistema dominato da una sola superpotenza effettivamente globale. Tuttavia questo unipolarismo non è più assoluto, se non in termini militari. Si stanno delineando infatti nuovi centri di un ordine multipolare sul piano economico, culturale e demografico. Il Grande Gioco ottocentesco si concluse agli inizi del XX secolo quando la scacchiera asiatica e le sue tensioni vennero messe da parte a causa del precipitare della situazione in Europa. Comprendere quindi come l’intero scacchiere mondiale influenzerà o sarà influenzato dalla particolare partita centrasiatica acquisisce oggi un’importanza decisiva.

 

 

 

 

NOTE:

 

1. BP, Statistical Review of World Energy June 2012, London, 2012, pp. 6-8 e 20-22, http://www.bp.com.

2. Ivi

3. Tensioni interetniche hanno colpito soprattutto il Kirghizistan, nel giugno 2010 nella città di Osh si registrarono violenze tra kirghisi e la minoranza uzbeka. Sintomatico delle difficoltà nell’esercitare un controllo completo sul territorio è il flusso di droga che attraversa la regione.

4. L’Uzbekistan entrerà nel CSTO nel 1994 per poi uscirne nel 2012, così come sospese la sua membership nell’EurAsEC nel 2008, due anni dopo il suo ingresso.


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