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CROAZIA E SOUTH STREAM: UN ACCORDO STRATEGICO?

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Appena rieletto il Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin aveva richiesto ai vertici di Gazprom ed al proprio Governo che si affrettassero i tempi nell’approntare un piano dettagliato per dare inizio ai lavori di costruzione del gasdotto South Stream, previsti per la fine del 2013, già a partire da dicembre 2012[1]. Stando agli analisti, tale pressione rispondeva a due ordini di esigenze politico-strategiche: il primo era quello di assestare un “colpo da guerra fredda” al progetto Nabucco appoggiato da UE e Stati Uniti allo scopo di presentarlo “perdente” in partenza nel gioco a somma zero dei gasdotti nel sudest europeo; il secondo, più plausibile e confermato dalle parole di Alexei Miller[2], numero uno di Gazprom, era quello di riuscire ad “aggirare” l’entrata in vigore (marzo 2013) delle limitazioni contenute nel Terzo Pacchetto sull’Energia varato dalla UE presentando gli accordi raggiunti con i vari Paesi come un fatti compiuti che si ponessero al di sopra delle regole comunitarie in quanto relativi a progetti infrastrutturali nazionali di importanza strategica. I funzionari di Gazprom hanno intavolato trattative serrate con i Paesi che avrebbero dovuto ospitare il transito del gasdotto che hanno portato nei mesi di ottobre e di novembre 2012 a una tutta una seriedi accordi con Serbia (29 ottobre), Slovenia (14 novembre), Ungheria (13 novembre) e Bulgaria (15 novembre). Nel dicembre del 2011 era stato raggiunto l’accordo con la Turchia per il passaggio nelle acque territoriali turche del Mar Nero del tratto offshore di South Stream. Il 7 dicembre 2012 con una cerimonia tenutasi ad Anapa, città russa e antica colonia genovese che si affaccia sul Mar Nero, con la simbolica saldatura di due tubi è stata lanciata la costruzione del gasdotto che porterà il gas russo sino a Tarvisio, in Italia[3]: “oggi stiamo partecipando ad un evento importante, un evento importante non solo per l’energia russa ma anche per il settore dell’energia europeo”[4]. Per il Cremlino il South Stream rappresenta la pietra angolare della strategie di diversificazione delle rotte energetiche volte ad approvvigionare i mercati europei bypassando il transito per l’Ucraina. A Bruxelles sono di tutt’altro avviso: Guenther Oettinger, Commissario europeo per l’energia, ha rigettato l’invito a partecipare alla cerimonia, bollato il South Stream come un “progetto fantasma” e ribadito che nessuna concessione verrà permessa a Gazprom sulle disposizioni del Terzo Pacchetto Energia, che prevede, tra le altre cose, la separazione tra distribuzione e produzione del gas.

Al progetto parteciperà anche la Croazia che, seppur rimasta fuori dal percorso principale, ospiterà un braccio secondario di South Stream capace di soddisfare l’aumento di domanda interna di gas naturale. La partecipazione di Zagabria al progetto russo è la dimostrazione di come le priorità europee e gli interessi nazionali non sempre collimino soprattutto quando un Paese come la Croazia sviluppa una proprio visione strategica volta ad assurgere a ruolo di terminale strategico regionale.

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Illustrazione 1: Il percorso principale del gasdotto South Stream con le relative diramazioni e le joint venture che gestiranno la costruzione dei vari tratti nazionali

 

 

I governi croati e la politica energetica

Con un referendum tenutosi il 22 gennaio 2012 i croati hanno deciso di entrare in Europa: nel luglio del 2013, salvo imprevisti, la Croazia sarà il 28^ Paese dell’Unione Europea.[5] L’ingresso nella comunità europea comporterà per Zagabria una serie di obblighi relativi all’armonizzazione forzata della disciplina nazionale del settore energetico con le direttive comunitarie. In questa materia, i Governi che si sono succeduti alla guida del Paese si sono mossi ora in ossequio dei dettami di Bruxelles ora cercando di fare in modo che la Croazia assumesse un ruolo da protagonista strategico nella regione: le tappe relative al coinvolgimento della Croazia in South Stream, fatte di avvicinamenti, perdite di terreno e tentennamenti nei momenti cruciali testimoniano questo procedere incerto tra priorità comunitarie e priorità nazionali. Sotto la guida della premier Jodranka Josor, leader dell’Unione Democratica (HDZ) di ispirazione europeista, nel marzo 2010 la Croazia firmò un memorandum di intesa orientato alla compartecipazione di Zagabria alla realizzazione di South Stream ma in seguito, preferendo non complicare il cammino verso l’ingresso nella UE, puntò sul perseguimento di  una sostanziale indipendenza dalle forniture russe, limitando la quantità importata da Mosca a soli 1,2 miliardi di metri cubi annui, stipulando importanti accordi di fornitura con l’italiana ENI e l’ungherese MOL e, di fatto, astenendosi dal realizzare alcun passo concreto in relazione al gasdotto “ortodosso”. Le elezioni parlamentari del 4 dicembre 2011 segnano un turning point per la Croazia: a vincere è la coalizione guidata dai socialdemocratici di Milanovic che conquistano 80 dei 151 seggi di cui si compone il Parlamento croato. Il rovesciamento dei rapporti di forze politiche ha portato con sé un cambio di passo nelle strategie energetiche di Zagabria. Il ministro dell’economia ha reso noto il rifiuto opposto dall’ex Primo Ministro Jadranka Kosor all’offerta di Gazprom per la costruzione di una “strada principale” di South Stream di 270 km e come il nuovo Governo avesse tutte le intenzioni di riaprire la questione[6]. Viste le difficoltà nel trovare l’accordo con l’Ungheria, nell’agosto del 2012 Gazprom fece pressioni sulla Croazia volte al raggiungimento di accordo per il transito del gasdotto attraverso il Paese e, nonostante l’opposizione dell’Unione Europea, Zagabria si dichiarò disponibile a concordare una compartecipazione.[7] Nel novembre del 2012, alla diffusione della notizia che la Croazia era stata esclusa dal percorso principale del gasdotto, il Presidente della Repubblica croata, il socialdemocratico Ivo Josipovic, non ha mascherato il proprio disappunto e non ha risparmiato critiche ai Governi che avevano gestito la questione: “è tempo che la Croazia si chieda cosa ha sbagliato. Negli anni precedenti abbiamo avuto diverse volte una posizione sbagliata e debole nei confronti degli investitori russi e questo è certamente il prezzo che ci ritroviamo a pagare”. Josipovic ha poi denunciato la mancanza di una politica energetica nazionale esprimendo, al contempo, l’auspicio che il mancato transito di South Stream sul territorio croato e la conseguente perdita di ingenti somme derivanti dalle tasse di transito, portassero i vertici politici-economici del Paese a pensare in modo strategico. L’invito presidenziale è stato raccolto dal Governo socialdemocratico di Milanovic che ha elaborato una politica energetica che prevede una più stretta collaborazione con la Russia di Putin; Mosca gioca un ruolo efficiente nei Balcani occidentali grazie alla capacità di trattare singolarmente con i vari Stati della regione sulla base di proposte di investimento nel settore dell’energia, collaborazioni per lo sviluppo di politiche di GreenEconomy o attraverso un ruolo in progetti infrastrutturali volti a creare una interdipendenza con il Cremlino: la politica di acquisizione di assets nazionali e di costituzione di joint venture con i Paesi clienti è funzionale a diminuire il livello di dipendenza infrastrutturale che lega la Federazione Russa agli Stati interessati dal transito del gas e del petrolio. Questo vale anche per la Croazia il cui mercato energetico è di modeste dimensioni ma che, come vedremo più avanti, riveste un’importanza strategica nella distribuzione dei prodotti energetici in virtù della propria posizione e delle proprie infrastrutture.

Nel contesto europeo che si sta profilando i Balcani sembrano poter aspirare solamente ad una posizione di “periferia ossequiosa” delle linee politiche di Bruxelles a scapito dei propri interessi nazionali, perciò la Croazia cerca di ritagliarsi un ruolo strategico di primo piano. Il cambio di rotta in materia di politica energetica stimolato in primis dal Presidente Josipovic ed elaborato dal Governo Milanovic ha trovato la sua concreta applicazione durante la missione a Mosca del Ministro dell’Economia (e vice Primo Ministro) Radimir Cacic (25-26 marzo 2012): in questa occasione, parlando al Governo e alle compagnie di investimento russe, Cacic ha esposto una serie di iniziative volute da Zagabria per rilanciare la collaborazione con Mosca[8]. Il primo punto prevedeva il passaggio del gasdotto South Stream su territorio croato: Zagabria, per bocca del suo Ministro per l’economia, si dichiarava pronta ad ospitare una sezione di transito della pipeline ma si sarebbe anche accontentata della costruzione di una ramificazione che collegasse la Croazia al percorso principale passante per la Serbia. Saltata la prima opzione dopo il sopraggiunto accordo con l’Ungheria per il transito del percorso principale, Zagabria ha puntato sull’opzione second best: il 17 gennaio scorso, il vicepresidente Medvedev per Gazprom e Antunovic per Plinacro, operatore croato del gas, hanno firmato un accordo che comprende l’interconnessione della rete di distribuzione croata con il South Stream tramite la costruzione di un tratto secondario del gasdotto lungo circa 100 km che unirà Sotin, in Serbia, a Slobodnica, in Croazia. In base all’accordo, le due compagnie costituiranno entro il prossimo mese di Luglio una joint venture di scopo alla realizzazione del tratto in questione (i lavori inizieranno nel luglio del 2015 e termineranno nel dicembre 2013) il cui costo è stato stimato in 60 milioni di euro e che trasporterà poco meno di tre milioni di metri cubi di gas russo in Croazia. Il Governo croato avrebbe comunque avuto accesso al gas di Gazprom in virtù degli accordi di fornitura stipulati con ENI e MOL ma ha voluto mettersi al riparo da eventuali fluttuazioni del prezzo del gas tramite un accordo diretto con il colosso Gazprom: il calo del prezzo per la fornitura va a tutto vantaggio dei croati, permettendo loro di perseguire una politica di sicurezza energetica[9] efficace. Anche se in Croazia è il petrolio (che arriva da Russia e dai Paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo) a giocare un ruolo principale rispetto al gas e la produzione interna di energia ottenuta per mezzo di centrali idroelettriche e a carbone riesce a soddisfare buona parte del fabbisogno energetico nazionale, le tendenze di medio e lungo periodo evidenziano come stia aumentando la dipendenza dalle importazioni di gas e petrolio: se, adesso, i livelli di dipendenza sono relativamente bassi rispetto agli altri Paesi balcanici in virtù della bassa intensità energetica e degli alti livelli di produzione, nel prossimo futuro la Croazia si troverà a fronteggiare una situazione in cui la produzione domestica declinerà a fronte di un aumento di domanda interna. Uno studio commissionato da Plinacro relativo al periodo 2010 – 2050 mette in evidenza come al momento le importazioni coprano il 50% del proprio fabbisogno energetico (50% petrolio, 25% gas) mentre nel 2030 questo valore salirà sino all’87%.  

 

 

La Croazia: mercato energetico modesto, paese strategico per la distribuzione.

Oltre a rispondere a necessità interne, la costituzione della joint venture per la costruzione del ramo croato di South Stream si inserisce a pieno titolo in quella che giornalisticamente è stata chiamata con enfasi “guerra del gas”. L’adesione croata al progetto South Stream va in rotta di collisione con la politica energetica comunitaria che cerca attraverso disposizioni, regolamenti e sviluppo di progetti alternativi di limitare la presenza della Federazione Russa sui mercati europei: la regolamentazione relativa all’unbundling contenuta nel Terzo Pacchetto dell’Energiaha, di fatto, alzato una sorta di “muro burocratico comunitario” nei confronti dei progetti infrastrutturali russi nei Paesi dell’Unione Europea. L’accordo di Zagabria con Gazprom è il palesarsi dell’esistenza di divergenze tra le priorità europee decise a Bruxelles e gli interessi nazionali dei vari Paesi: i Governi nazionali, infatti, preferiscono difendere le loro priorità in materia di sicurezza energetica rivendicando la possibilità di tenere in piedi vari progetti e di stipulare differenti accordi non curanti del fatto che queste scelte possano, talvolta, essere in contrasto tra loro. La Croazia “europea” si pone in scia di Paesi come Austria, Bulgaria e Ungheria che, in precedenza, pur avendo stretto rapporti (anche vincolanti) per la realizzazione di progetti di concezione europea come Nabucco non hanno rinunciato anche a concludere accordi di natura bilaterale con la Federazione Russa per il transito di South Stream sul loro territorio nazionale, consentendo al progetto di essere attuabile e realizzabile. Per Zagabria c’è di più: consapevole della propria posizione strategica e dell’importanza delle proprie infrastrutture, il Governo croato non ha abbandonato ma bensì rilanciato l’idea di trasformare la Croazia in un hub energetico regionale rendendo il Paese il possibile punto di distribuzione di gas e petrolio destinati ai mercati balcanici, mitteleuropei e mediterranei. Il ruolo di Zagabria è di fondamentale importanza nell’attuazione della politica di differenziazione delle forniture di gas varata da Bruxelles e nelle strategie politico-energetiche di Mosca. L’Unione Europea spinge per la costruzione di un rigassificatore di gas liquefatto (GNL) a Omisalj situato sulla punta settentrionale dell’Isola di Krk: il progetto infrastrutturale dovrebbe rifornire di gas i Paesi dell’Europa centrale (fortemente dipendenti dal gas russo) e collocarsi all’interno del più ampio Corridoio Nord-Sud, sistema voluto e sostenuto dai Paesi del Gruppo di Vysehrad  (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia). Questo sistema sarebbe capace di unire il Mar Baltico con il Mar Mediterraneo grazie ad una rete di gasdotti progettata per  la circolazione di gas naturale in un sistema energetico unificato, che permette agli Stati del centro Europa di diminuire la dipendenza dalle forniture di Gazprom[10]. La costruzione del rigassificatore croato rappresenterà il terminale Sud del corridoio dove il gas liquefatto, che arriva via mare da Qatar e Stati Uniti, verrà rigassificato e distribuito sulla terraferma[11].

L’oggetto del contendere russo – europeo sembra essere proprio l’isola di Krk e Omisalj, in particolare dal momento in cui dal terminale della piccola città croata si diramano attualmente le tubature che trasportano petrolio dalla costa adriatica sino al cuore dell’Europa. Nelle proposte presentate a Mosca durante la sua missione diplomatica, il Ministro economico Cacic aveva proposto la possibilità di invertire il tragitto della pipeline Adria – Druzhba che attualmente distribuisce il greggio da sud a nord, da Omisalj al centro Europa. L’inversione del tragitto, da sud a nord, porta con sé il conseguente blocco del libero accesso al petrolio non russo per la regione mitteleuropea mentre permetterebbe al greggio russo di aprirsi a nuovi mercati, europei e mondiali. La proposta del Ministro croato è stata rilanciata il 19 gennaio 2012, due giorni dopo l’accordo relativo a South Stream da Nikolaj Brunic, direttore generale della società petrolifera russa a proprietà statale Zarubeznjeft, che a Zagabria parlando ai giornalisti ha esposto il piano di investimenti da un miliardo di euro relativo al terminale di Omisalj dando concretezza alle parole di Alexei Miller. Il presidente di Gazprom, nel giorno della firma dell’accordo per South Stream, aveva dichiarato come la Croazia rivestisse un grande potenziale per la cooperazione nel settore energetico e che quello appena concluso non fosse altro che il passo iniziale di una serie di investimenti russi in Croazia: approntare una linea di transito che passando per Zagabria colleghi la cittadina di Slavonski Brod al terminale posto sull’isola di Krk; investire nelle capacità di movimentazione dell’oleodotto adriatico Janaf la cui capacità attuale è del 30% rispetto a quella potenziale di 35 milioni di tonnellate di greggio; impegnarsi con Janaf nelle ricerche di giacimenti petroliferi e metaniferi in Croazia[12].

A ribadire la volontà di rendere la Croazia un hub energetico regionale il Primo Ministro Milanovic aveva manifestato nel novembre del 2012 uno spiccato interesse per il Trans-Adriatic Pipeline (TAP), progetto ritenuto prioritario dall’Unione europea riguardante l’interconnessione di Grecia, Albania e Italia. Nell’ottica di Zagabria, il sostegno alla costruzione del gasdotto in questione faceva intravedere la possibilità di trasportare circa 5 miliardi di metri cubi di gas azero in Slovacchia prelevandolo dal nodo albanese del gasdotto e facendolo transitare sul territorio croato. Si trattava di un bluff politico di allora per costringere i russi a rivedere i piani relativi a South Stream o, invece, si trattava di una seria opzione per dotare di ulteriore pilastro la piena valorizzazione della posizione geografica della Croazia nel gioco dei gasdotti?




[1]   http://www.distribuzionecarburanti.it/articoli/gasdotto_south_stream_putin_ne_esige_l_inizio_ent.html


[2]   Parafrasando, per Gazprom è più conveniente lanciare ora il progetto, evitando le sanzioni europee contro pratiche monopolistiche. La Commissione europea il prossimo anno imporrà alcune delle condizioni del “Terzo Pacchetto Energia” Ue su iniziative del genere.


[3]   Il gasdotto originariamente prevedeva l’arrivo in Austria presso la stazione di distribuzione di Baumgarten,ma le pressioni di Bruxelles sul governo di Vienna hanno fatto sì che l’Austria rinunciasse all’accordo con Gazprom. Il gas russo, quindi, arriverà a Tarvisio in Italia passando per la Slovenia.
Nel progetto iniziale di South Stream era previsto anche una seconda diramazione passante per la Grecia e destinata all’Italia ma la stessa ENI ha fatto decadere la possibilità e dato priorità alla costruzione della dorsale balcanica adducendo motivazioni di sostenibilità economica della realizzazione del progetto.


[4]   Isabel Gorst, South Stream: cosnstruction start, Financial Times, 7 dicembre 2012.


[5]   La situazione non è del tutto definita: mancano ancora le ratifiche all’ingresso di quattro Paesi membri dell’Unione Europea tra cui la Germania; quella stessa Germania che nel 1991 fu il primo Stato a riconoscere l’indipendenza croata adesso temporeggia temendo di compiere con Zagabria lo stesso errore commesso con Romania e Bulgaria, Paesi che una volta integrati non sono stati capaci di rispettare gli standard richiesti da Bruxelles. Il Presidente del Parlamento Tedesco Norbert Lammert nel mese di ottobre aveva ribadito il concetto: “Proprio per le esperienze avute con Bulgaria e Romania va preso in seria considerazione l’ultimo rapporto della Commissione Europea sui progressi fatti dalla Croazia. È evidente, la Croazia non è ancora pronta per l’ingresso”. Il 9 febbraio scorso il Commissario UE per l’allargamento Stefan Fule si è dichiarato ottimista in vista del prossimo (e ultimo) esame della Commissione previsto per la seconda metà di marzo.


[6]   http://www.eurasiareview.com/23112012-south-stream-route-raises-questions-in-the-balkans/


[7]   In questa occasione scesero in campo anche i media croati che lanciarono una campagna pro South Stream mettendo in evidenza come l’accordo con il colosso russo per il transito sul territorio nazionale fosse la scelta più soddisfacente per le parti in causa sia in termini di costi sia in termini di riduzione del percorso.


[8]   Le proposte di Cacic e del Governo croato sono riassunte in questo articolo: Vladimir Socor, “Breakthrough of Putin’s energy empire” in Croatia?, Eurasia Daily Monitor, vol. 9, issue 64, 30 marzo 2012.


[9]   Per sicurezza energetica si intende la defizione che ne da l’Unione Europea nel Libro Verde. Una strategia europea per un’energia sostenibile, competitiva e sicura vale a dire una disponibilità di risorse e di energia a prezzi ragionevoli.  


[10] Il giorno 8 gennaio 2012, una settimana prima dell’accordo russo – croato per South Stream, l’UE ha aumentato a 134 milioni di euro la quota per favorire la costruzione del rigassificatore di Swinoujscie in Polonia, il terminale Nord del Corridoio Nord – Sud.


[11] La scelta europea era ricaduta in precedenza sui territori del Baltico e dell’Egeo ma a far decadere queste opzioni sono state rispettivamente il dominio russo sulle acque del nord e la mancanza di fondi per la realizzazione delle infrastrutture dovute alla crisi greca. A spuntarla è stata, quindi, l’opzione adriatica.


[12] http://ilpiccolo.gelocal.it/cronaca/2012/01/19/news/mosca-vuole-entrare-con-un-miliardo-nell-oleodotto-janaf-1.3085410


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